L' istruttore di fitness nel 2020: una professione in balia delle mode del momento. Tanti dubbi e poche certezze

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Nel sito ufficiale della WHO si riporta che l’inattività fisica è uno dei principali fattori di rischio per le malattie non trasmissibili (es. diabete, cancro, malattie cardiovascolari, etc.) e, più in generale, di morte al livello globale. A questo si aggiunge un maggiore costo sul sistema sanitario nazionale. Il professionista del fitness, chiamato con molti nomi in base al titolo accademico (chinesiologo/dottore in Scienze Motorie) in suo possesso e non (istruttore di fitness, personal trainer, etc.), e capace di lavorare in studi privati o nelle sale pesi/corsi, porta con sé un importante compito: diffondere la sana cultura del movimento e, conseguentemente, lo stile di vita attivo. Tuttavia per poter assolvere questo nobile compito, questa figura professionale deve affrontare diverse peripezie.


L’interessante review di De Lyon A.T.C. et al. (2016) elenca quattro ostacoli con cui il professionista del fitness deve fare i conti ogni giorno:

1. Il primo riguarda gli strumenti a disposizione. Non stiamo di certo qui ad elencarli, ma sappiamo che vi sono numerosi studi che hanno provato l’importanza e i benefici dell’esercizio fisico nel migliorare la salute dei soggetti (anche con patologie). Appare evidente come siano necessari ulteriori ricerche (oltre a linee guide specifiche) in modo da poter costruire gli strumenti più idonei; tali ricerche però non dovrebbero avere tornaconti sull’industria o l’ente che li ha finanziati, ma essere quanto più oggettive possibili. 

2. Inoltre, spesso chi diventa personal trainer per un cliente o più non si occupa esclusivamente di programmazione dell’allenamento, ma sembra chiamato a rivestire anche il ruolo di “psicologo”, “nutrizionista”, “mental coach”, talvolta anche quello di “farmacista”, e l’elenco potrebbe continuare.

Al contrario, bisognerebbe collaborare con queste figure che hanno intrapreso un percorso accademico differente piuttosto che cercare erroneamente di superare la propria area di competenza ostentando conoscenze/competenze che non si hanno. 

Inoltre, vengono riportati studi che sottolineano come spesso la relazione tra P.T. e cliente possa avere confini meno netti e assumere l’aspetto di un rapporto di confidenza; questo potrebbe intaccarne la professionalità. 

Infine, l’articolo sposta la sua attenzione su un concetto interessante che viene definito “bodily capital”, ovvero il credere che un fisico scultoreo rifletta una vasta conoscenza in materia di fitness; nella maggior parte dei casi, infatti, non è così. 

3. Dover soddisfare un’infinita varietà di clienti: soggetti sani o con patologie, giovani o anziani, sportivi o amatoriali, sedentari o molto attivi, etc. Per questo e altri motivi, la laurea in Scienze Motorie dovrebbe essere il prerequisito richiesto per esercitare questa professione. Attenzione: non perché i chinesiologi (magistrali e non) siano migliori di altri solo perché hanno una laurea, ma perché possiedono un bagaglio di conoscenze trasversali, un certo criticismo verso le informazioni che li circondano e, soprattutto, un approccio oggettivo basato sulle evidenze scientifiche, il tutto indispensabile per offrire un servizio di alta qualità al cliente. 

4. Il punto forse più interessante: la mancanza di un riconoscimento e della rispettiva credibilità. In generale, il professionista del fitness lamenta un salario basso e poche opportunità per poter fare carriera. Se il professionista è laureato, si aggiunge un ulteriore malcontento che dilaga verso il non avere un albo, l'essere trattato con mediocrità da altre figure professionali, il non essere apprezzato (o addirittura richiesto) da un mercato sempre più saturo che necessita più di figure professionali che di pseudo-guru di dubbia moralità e, infine, se professore di educazione fisica, l’essere giudicato solo come il prof-che-fa-giocare-con-il-pallone quando invece il ruolo che la “ginnastica” assume in età giovanile è fondamentale per combattere il diffondersi di un fenomeno noto come “exercise deficit disorder” o EDD (Faigenbaum A. et al. (2012)). Questa condizione è caratterizzata da bassi livelli di attività fisica giornaliera che possono andare ad incidere negativamente sullo sviluppo motorio e sulla salute del giovane ed avere delle ripercussioni ancora maggiori sull’adulto che diventerà (probabilmente sedentario, poi in sovrappeso o obeso con conseguente aumento del rischio di sviluppare malattie cardiovascolari, diabete mellito di tipo 2 e/o altro) e con la possibilità di insegnare questo stile di vita ai propri figli alimentando questo circolo vizioso. 


Pertanto, il professionista del fitness non rappresenta soltanto un “fai un 4x8 alla lat machine presa larga” o “15 minuti di cardio a pendenza X e velocità Y”, ma è qualcosa di più: una valida risorsa per la salute pubblica.

Concludiamo con una frase che ha scritto il Dott. R.E. Sallis nel 2009: “[…] è tempo per la medicina organizzata di unirsi ai professionisti del fitness per garantire che i pazienti di tutto il mondo prendano la loro “exercise pill”. Non c'è modo migliore per migliorare salute e longevità.”

Articolo a cura di: 
Dott. Settimo Mangano
Laureato in Scienze e Tecniche delle Attività Motorie Preventive e Adattate (LM-67) 
Università degli Studi di Palermo